La generazione di mio padre era cresciuta leggendo e rileggendo “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, identificando il volo con la libertà e il controllo di se stessi per migliorarsi, dominando le proprie paure.
In effetti, volando a vela, si entra in uno spazio di assoluto silenzio, in un mondo incontaminato, vincendo persino la legge universale, a cui siamo tutti sottoposti: la legge di gravità.

Volo e diritto peraltro hanno molto in comune, anche se il concetto sembra contro-intuitivo.
La preparazione innanzitutto: una sequenza di atti precisi e necessari per preparare il volo in sicurezza. Analogamente una sequenza di ragionamenti precisi e necessari costituiscono la pratica intellettuale necessaria per individuare la norma astratta da applicare al caso concreto, alla vita vissuta, ai fenomeni naturali.

La conoscenza e la padronanza di sé sono necessarie per volare e per condurre con sicurezza un cittadino (o una persona giuridica) ad affrontare un processo, non pretendendo di più di quello che si può ottenere, per apprezzare una soluzione bonaria della controversia. Così come si apprezza, in volo, una giornata tersa e l’allontanarsi di nembi e cirri.

Pilotare un aereo e guidare un contenzioso rispondono a principi comuni: in entrambi i casi occorre una grande passione, un forte amor proprio, una buona capacità di adattarsi alle situazioni impreviste.
Due momenti diversi che hanno valore per se stessi e per essere di aiuto agli altri, che rappresenta il senso del vivere.